E’ domenica sera, è molto tardi, sono al pc e preparo un post per il lunedì; mentre scorro gli ultimi post sulla home, mi fermo a riguardare le ultime foto in costume che ho pubblicato un paio di settimane fa. Quelle foto mi piacevano, il costume anche, anzi, mi piacevo io e mi piaceva come mi stava il costume. Ve lo confesso, a pubblicare delle foto in cui si è così poco vestite, c’è sempre un minimo di imbarazzo e incertezza: c’è soprattutto la paura che qualche commento offensivo possa mandare in frantumi quell’autostima che ho faticato tanto a costruire. Autostima che è accettazione di sé e del proprio corpo, un percorso che non è mai semplice, probabilmente per nessuna, ma lo è ancora di più quando il proprio corpo non corrisponde esattamente all’imperativo dello standard imposto dalla nostra cultura.
Succede che poi quelle foto le pubblichi, le condividi sui social, ti esponi; sai già che in tanti le guarderanno per semplice curiosità, molti per fare il conto dei tuoi difetti, alcuni esprimeranno un apprezzamento sincero e altri ti diranno qualche cattiveria esplicita e gratuita.
E così c’è chi mi invita a cambiare modello perché, avendo i fianchi larghi, quel costume non mi valorizzerebbe; chi mi dice direttamente che mi sta male; chi senza dirmelo per buon senso, avrà comunque pensato anche di peggio.
Esporsi ci sta, accettare le critiche anche, e non è che me la sia presa; però continuo a riflettere sul modo in cui noi percepiamo il nostro corpo e come appare agli occhi degli altri e fino a che punto gli altri hanno il diritto di dirci cosa fare e come dovremmo essere.
Essere una blogger mi pone spesso in una posizione conflittuale: chi non mi conosce, potrebbe pensare che io sia una di quelle che sale su un piedistallo per dire agli altri cosa fare e cosa non fare, cosa indossare e per quale occasione, e se non lo fate…Guai a voi! Giusto? Dico bene?! Ma no, se mi conoscete anche solo virtualmente, sapete che non sono così. Non giudico le azioni altrui, figuriamoci i vestiti. Insomma, io ci metto la faccia e dico semplicemente quello che piace a me, vi mostro quello che indosso io, come interpreto le tendenze oppure come vado deliberatamente contro corrente e non seguo le mode. Ma chissenefrega poi, questa sono io e mi vesto così, mi piaccio così, sto bene così.
E penso che, se io scelgo un costume e mi piace come mi sta, che diritto hanno gli altri di venirmi a dire che mi sta male o che dovrei metterne un altro? Siamo oggettivi: conosco il mio corpo. So di avere dei fianchi larghi; so di avere un lato b pronunciato; so di avere delle cosce non sottili; so di non avere seno; so di essere magra, ma lotto da 24 anni per accettare una sproporzione di costituzione che riequilibro con i vestiti giusti e piccoli espedienti, ma quando poi ci si mette in costume è un’altra cosa.
Quest’anno però, l’approccio alla spiaggia e alla prova costume è stato diverso. Diverso perché ho messo da parte l’ideale di un corpo che non può appartenermi, non può farmi da modello; ho scelto di puntare sull’accettazione e sulla confidenza con il mio, di corpo. In due parole, il bikini body. Il bikini body non è uno standard, appunto, ma un concetto: è lo stato fisico e mentale che ci consente di essere a nostro agio in costume, indipendentemente dal peso, dalla taglia e dalle imperfezioni che un qualsiasi corpo può avere. E’ uno status difficile da raggiungere, sia chiaro, ma ha più o meno le sembianze della pace dei sensi. E’ quel momento in cui ti spogli e dici “Sti cavoli della ritenzione idrica, voglio prendere il sole e farmi il bagno, non sono venuta al mare per fare una sfilata!”. Insomma, è quel qualcosa che ci permette di superare il disagio e l’imbarazzo, di stare serene e volerci bene così come siamo. Se non si nasce con questo spirito di sicurezza, ci si può comunque arrivare dopo percorsi più o meno lunghi e travagliati: ovviamente c’è anche chi passa per disturbi alimentari, ossessioni e momenti di crisi, ma tutto si può risolvere, ed è importante sapere che se ne può uscire e si può stare bene anche dopo tanta sofferenza.
Quest’anno, come dicevo, io ho raggiunto il mio equilibrio da “bikini body”: così è e tante care cose a tutti gli altri. Non sento il bisogno di criticare le altre ragazze in costume, non sto a giudicare la scelta della brasiliana piuttosto che dello slip classico o della fascia anziché il pushup: mettetevi quello che più vi pare purché vi sentiate a vostro agio. E lasciate che anche le altre donne e ragazze siano libere di vivere il proprio corpo come meglio credono.
A me non frega nulla che quel costume valorizza o meno il mio fianco, perché il fianco c’è e non ho assolutamente voglia o bisogno di nasconderlo. Non c’è niente da nascondere, il mio copro non è un difetto. Una coscia è solo una coscia, non è qualcosa per cui sentirsi in colpa. C’è così tanto lavoro da fare, su se stesse e sul modo di pensare di questa società.
Non c’è una regola, non c’è un modello unico, non c’è una legge che impone alle magre il diritto di scoprirsi e alle grasse l’obbligo di coprirsi: va bene come siete, va bene come siamo, va bene come sono.
Siamo persone, non pezzi di carne esposti al giudizio di un compratore: stare bene è l’unica cosa che conta.
Leggete questo post, riflettete su queste parole e pensate non solo a quante volte ci siamo sentite sbagliate, ma anche, e soprattutto, a quante volte abbiamo fatto sentire sbagliate altre persone per il loro corpo: andiamo oltre, e nel momento in cui riusciremo a non essere così critiche verso le altre donne, vi assicuro che staremo anche meglio con noi stesse.